di Antonio Ferrara Romano

Una sedia vuota, un cappotto rosso, sullo sfondo le incredibili opere di Artemisia Gentileschi, l’artista secentesca che ha svolto un ruolo cruciale nella storia dell’arte.

A Melfi, presso il Salone degli Stemmi del Palazzo Vescovile, la Fidapa ha risposto all’appello contro la violenza sulle donne, organizzando un convegno tra arte, psicologia, denuncia sociale. Non poteva essere diversamente: l’associazione ha come imperativo categorico la difesa della condizione femminile e la sua emancipazione in tutti i settori della società. “E lo fa”, ha ricordato la presidente Lucia Moccia “invitando anche gli uomini a prendere le distanze dai fenomeni di violenza e a scendere in campo con le donne e per le donne”.

“Non affrontiamo un fenomeno inedito” ha dichiarato Moccia “ma una costante presente in molte culture e sin dai tempi antichi, una componente del rapporto uomo-donna. Ci siamo ispirati ad Artemisia Gentileschi in quanto la sua azione, esistenziale e artistica – anche lei vittima di stupro – è giunta fino a noi come strumento di ribellione, di riscatto e di esempio per tante donne.

Moccia fa appello alle istituzioni e alla società civile quando afferma: “Bisogna rompere il muro del silenzio e spezzare le catene dell’isolamento. I Centri antiviolenza fanno un lavoro straordinario ma non basta: è il singolo – e quindi la comunità – che deve invertire la rotta”. Ha ricordato quindi il supporto delle scuole locali, tra cui l’istituto comprensivo “Berardi-Nitti” con il quale la Fidapa sta portando avanti il progetto sulla Carta dei diritti della bambina.

Monsignor Ciro Guerra, cancelliere della diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, ha parlato di fatto culturale: “La donna è assoggettata all’uomo, e anche la Chiesa può aver avuto delle responsabilità in tal senso, su questo bisogna essere chiari. Basti pensare al processo subito da Artemisia Gentileschi, tanto complesso in quanto era coinvolto anche un prelato. La teologia deve allora provare a liberarsi di certi preconcetti: dallo sconquasso della violenza femminile noi dobbiamo trovare il coraggio di produrre nuovi, sani frutti”.

Il convegno è quindi proseguito con una lectio magistralis tenuta dal professore Antonio Carbone, architetto e docente di storia dell’arte, che ha raccontato la vita e l’arte di Artemisia Gentileschi, due aspetti indissolubilmente intrecciati. “Artemisia è la prima donna che rivendica lo status di artista, è stata rivoluzionaria e ha cambiato le sorti dell’arte, anche se pagando un caro prezzo”, ha affermato Carbone.

Presenti al tavolo dei relatori, la psicologa e psicoterapeuta Marialuisa Vallino e il magistrato Valeria Montaruli. Entrambe sono autrici del libro Artemisia e le altre. Miti e riti di rinascita della violenza di genere (Armando Editore), presentato al convegno. Vallino e Montaruli hanno illustrato gli scenari della violenza perpetrata nei confronti delle donne, tutti sostenuti da un comune denominatore: l’incapacità – da parte dell’uomo – di rapportarsi in modo dialogico col femminile, preferendo i miti e i riti della prevaricazione. Una nuova chiave di lettura del fenomeno attraverso una ricostruzione storico-mitologica del femminile e del maschile, con particolare attenzione alla psicodinamica e alla criminologia.

Il convegno è stato moderato dalla giornalista e professoressa Anita Ferrari: “Stasera abbiamo voluto raccogliere una serie di sollecitazioni che agiscono in maniera trasversale sull’arte, sulla denuncia sociale, sulla criminologia. Tutto questo per raccontare un fenomeno antichissimo ma che continua a persistere nel nostro presente. Nonostante le conquiste ottenute, noi donne dobbiamo difendere, spesso rimettendoci, il nostro posto nel mondo e nella società”.

Non dobbiamo dare nulla per scontato.