Mentre le regioni del Nord, a colpi di referendum, fanno a gara a chiedere dal governo più risorse alle autonomie locali, il Sud continua ad avere un alto senso dello Stato e delle Istituzioni. Chi dovrebbe pretendere maggiori attenzioni ad uno governo che troppo spesso è stato a trazione nordista, compresi i vertici imprenditoriali, bancari e produttivi, per ragione di Stato e serietà sembra non voler creare ulteriori problemi tanto alle casse pubbliche e all’impianto istituzionale entrambi alquanto traballanti. La stessa Basilicata offre al sistema Paese acqua e petrolio, mentre le stesse grandi aziende (dalla Fiat-Fca alle multinazionali delle acque minerali, dalla Ferrero alla Barilla) si limitano a garantire posti di lavoro, evitando accuratamente di lasciare al fisco locale le imposte che invece, nella migliore delle ipotesi, trasferiscono nelle sedi lombarde, piemontesi, emiliane o, peggio, in Usa, Olanda o Inghilterra. Se poi sono i governatori di Lombardia e Veneto, seguiti in modo pedissequo e acritico da quasi tutti i partiti e parlamentari, a chiedere con arroganza di concedere più autonomia finanziaria e legislativa alle proprie regioni, allora non si comprende perché la Basilicata debba passivamente subire. Che l’anacronismo delle Regioni a Statuto Speciale fosse ormai superato dalla storia è lampante, ma non vorremmo che anziché ritornare ad un contesto istituzionale più consono ai tempi, si acuissero ulteriormente le disuguaglianze e differenze. I dati, purtroppo, non sono incoraggiati: negli ultimi anni il gap tra il Nord e il Sud del Paese è costantemente, sia pur lentamente, aumentato tanto da far richiedere a tutti con determinazione un ritorno ad una legislazione “speciale”. Nessuno chiede una Cassa per il Mezzogiorno anni ’50, ma non è auspicabile che si rovescino le priorità a tutto vantaggio di chi si trova oggettivamente in condizioni migliori. La Basilicata che garantisce petrolio e acqua al resto del paese, con grandi sacrifici in termini ambientali e di impatto sul territorio, forse ha sbagliato a tacere ed accontentarsi di qualche royalties (tra l’altro utile solo a coprire i buchi di bilancio per garantire ai cittadini università, borse di studio, sanità e trasporti) o compensazione ambientale per tenere in ordine le dighe e invasi. Avremmo dovuto e potuto alzare il tono e, noi sì, pretendere una legislazione realmente speciale per i nostri territori. Invece, ora rischiamo di dover accettare le pretese di chi chiede di essere “padroni a casa propria”. Come se noi lucani –basta chiederlo ad Eni e Fiat- finora fossimo riusciti a negoziare alla pari, con uno Stato amico e non neutrale, con i colossi dell’economia garantendoci quello sviluppo economico e quel ritorno finanziario che invece in questi decenni sono stati solo accennati o lasciati intravedere. Briciole e contentini a cui, forse per apatia più che per convinzione, stiamo rischiando acriticamente di abituarci. E quando qualcuno (sindacati compresi) qualche anno fa propose una organizzata e simbolica “marcia su Roma” per far sentire la voce dei lucani, considerati a ragione un popolo serio, lavoratore e rispettoso delle istituzioni, ma spesso bistrattato quando si tratta di garantirne servizi e infrastrutture, forse avremmo dovuto spingere affinchè il nostro grido di dolore arrivasse realmente nei palazzi romani e non si fermasse alle macchinose e silenziate intermediazioni parlamentari. Una più marcata autonomia finanziaria e legislativa per le regioni –con un occhio anche a ciò che sta accadendo in altre parti dell’Europa- non deve diventare l’anticamera della secessione e la fine dello Stato unitario, anzi, è cosa necessaria per responsabilizzare popolazioni e classe politica ad un uso più appropriato delle risorse pubbliche, ma non venga usata dai “ricchi” per minacciare e indebolire i “poveri”. L’Italia è una ed è indivisibile. Il Sud e la Basilicata in particolare hanno documenti e coscienza in ordine per chiedere di potersi amministrare in modo più autonomo, ma per rispetto di quell’unità nazionale ottenuta nei secoli ad un prezzo altissimo in termini di vite umane, continueranno a garantire il proprio sostegno all’Italia e alle sue Istituzioni. Senza voler più passare come palla al piede o esaltare un vittimismo di cui non si sente più la necessità. A Lombardia e Veneto, a questo punto, non può che aggregarsi anche la Regione Basilicata e il presidente Pittella, per chiedere al governo (come hanno fatto anche altre Regioni) di sedersi al tavolo del confronto per rivedere l’intera materia delle autonomie locali, senza minacce o fughe in avanti di chi ha già avuto molto da uno Stato, per loro, quasi mai patrigno e accondiscendente. E’ il tempo dell’unità e della discussione.

Il Capogruppo
Avv. Aurelio Pace