La lettera di Confindustria pubblicata oggi sulla stampa locale, così come le iniziative di diverse imprese del settore Oil & Gas che hanno espresso in questi giorni ai sindaci della Val d’Agri le loro preoccupazioni per l’emendamento Trivelle approvato dal Parlamento, sollecitano qualche riflessione. A sostenerlo è il consigliere regionale Piero Lacorazza.

Oggi le imprese si lamentano di un provvedimento che a loro dire “blocca le attività petrolifere”, ma in realtà, come si è già osservato da più parti, quello approvato dal Parlamento su iniziativa del governo gialloverde è un pasticcio, che blocca “alcune” trivellazioni, ma allo stesso tempo finisce per prorogare “ope legis” le concessioni in essere in Val d’Agri che, guarda caso, stanno per scadere e il cui rinnovo in un Paese normale sarebbe stato oggetto di una seria concertazione fra Stato, Regioni e compagnie petrolifere.

Quindi, in realtà, è proprio la mancanza di concertazione a creare pregiudizio alle imprese, alle amministrazioni locali ed ai cittadini delle aree interessate alle attività petrolifere, a far perdere di vista il luogo in cui i diversi interessi possano confrontarsi ed essere contemperati. E questo vizio non nasce oggi, con i recenti provvedimenti, ma viene da lontano, almeno da quando è stata approvata la legge sblocca Italia. Il fatto che quella norma (il famigerato articolo 38) per “semplificare” e rendere più rapide le procedute in favore delle imprese (almeno questo dicevano i promotori) abbia finito invece per abrogare le procedure concertative fra Stato e Regioni, tentando di anticipare una riforma costituzionale poi bocciata dai cittadini, la dice lunga sul pericolo che simili scorciatoie portano con se: il pericolo (che dovrebbe riguardare anche le imprese) che senza la fatica della democrazia e del confronto l’intero territorio (le imprese, i cittadini, le istituzioni locali) finiscano per perdere peso. E comunque in ogni caso è bene ribadire che, così come lo stesso Parlamento ha fatto votando alcune mozioni negli anni scorsi, non si può andare oltre i limiti delle estrazioni petrolifere previsi dalle intese raggiunte nel 1998 e nel 2006.

Tra l’altro, mentre con l’accordo Eni la concertazione fatta a monte, negli anni ’90, ha prodotto anche impegni, non sempre mantenuti, per le infrastrutture, con l’accordo Total lo Stato non ha messo un euro di investimenti per la Basilicata. Quando un territorio è più debole diventano più deboli anche le imprese, le amministrazioni locali, i lavoratori. Qui sta il senso più autentico del referendum promosso nel 2016 da 10 Regioni guidate dalla Basilicata sull’articolo 38, che era sbagliato perché, appunto, da una parte dava l’idea di produrre semplificazioni e agevolare le imprese ma dall’altra ha aumentato i conflitti con i territori.

Poi, quando non si fanno scelte equilibrate e sagge tra industria e ambiente, Stato e Regioni, l’esito è anche la norma pasticciata fatta dal governo gialloverde, che produce ancora più incertezze sul sistema industriale. Incertezze che risultano evidenti nella dichiarazione farlocca di Mattia, che dice: “Noi siamo per chiudere con le attività petrolifere, ma se non si può chiudere per i contratti in essere lasceremo stare”. Ma come, prima dici che vuoi chiudere con le estrazioni petrolifere e poi i tuoi amici a Roma approvano una norma che determina un prolungamento della concessione dell’Eni, aumentando i canoni di concessione senza dare neanche un euro alla Basilicata perché quei soldi serviranno a pagare i contenziosi a partire da quelli riguardanti le concessioni rilasciate nel mare Jonio?

La verità è che quando non ci sono norme chiare e relazioni corrette con il territorio, si producono problemi per le comunità e rischi per le imprese. Risulta ancora più chiara questa situazione anche dall’attesa e dalle aspettative che tanti lavoratori hanno maturato e stanno maturando rispetto agli impegni che in particolare Total deve assumere per l’attività estrattiva a Corleto.

Ecco perché non mi stanco di ripetere che il problema non è quello di dichiararsi no triv o si triv a prescindere. Semmai industriali, territori, amministratori, cittadini in Basilicata dovrebbero essere impegnati a fare di più per proteggere l’ambiente e la salute dei cittadini per le attività estrattive in corso, a ripensare il modello di sviluppo, a definire una nuova relazione fra Stato e Regione, a promuovere (questo è il vero problema) un’idea di una transizione energetica che dia più certezze alle imprese che operano nel settore Oil & Gas sapendo che il mondo, nei prossimi anni, non andrà nella direzione dello sfruttamento delle fonti fossili.