di Antonio Ferrara Romano

Un sindaco contadino, una zolla di terra lucana. È questa l’immagine di Rocco Scotellaro che l’attore e regista Ulderico Pesce ha voluto restituire alla platea del Teatro Ruggiero di Melfi.

Un intenso monologo, una scenografia ridotta all’essenziale: una valigia di racconti e ricordi, una chitarra per intonare canzoni a Isabella, un fagotto con il pane di Matera.

E una sedia, la stessa in cui siede Ciccio, contadino lucano che rappresenta uno spaccato di società amara, che Scotellaro poi raccoglierà sia nel suo impegno politico sia in quello letterario. Perché come ha scritto Raffaele Nigro “L’uomo e la sua poesia erano impregnati di valori civili e politici”, a significare l’indissolubile compresenza delle due vocazioni.

E su quella sedia siede anche la madre di Rocco, Francesca Armento, simbolo di silenti calende greche, di Marie in pietà ai piedi della croce.

Troppo breve è stata la vita di Scotellaro, dai fulgidi capelli rossi e da un talento fuori dall’ordinario. L’infanzia a Tricarico, il collegio a Sicignano, i lunghi estenuanti viaggi a Napoli, Roma, Trento, Tivoli. Poi l’incontro decisivo con Carlo Levi, suo mentore, e Manlio Rossi Doria. Qui Scotellaro respira a pieni polmoni l’aria salubre della letteratura, di quella letteratura impegnata e impregnata di valori civili, che per la sua terra si traducono in voci contadine, talvolta spezzate.

Ed è alla sua Tricarico che torna a guardare, dapprima con l’attività sindacale e, nel 1946 a soli ventitré anni, con l’elezione a sindaco, sposando la causa socialista. Seguirà la macchia indelebile della cospirazione politica che gli costerà il carcere a Matera: 45 giorni di reclusione, cella numero 7.

Infine, il cuore infranto e la morte sopraggiunta a trent’anni.

Ulderico Pesce ha dato voce a tutto questo, partendo dal sorriso paesano della gente lucana, che riusciva a trovare attimi di comicità anche nella più dolente delle traversate per raggiungere l’America, e confluendo nella straziante Pietà della madre in ospedale, aggrappata al marmo freddo sul quale giaceva il povero figlio. Un climax di corpo e voce che conduce inevitabilmente alla riscoperta di una personalità troppo a lungo rimasta in silenzio.

Lo spettacolo teatrale rientra nel “Festival dell’Appennino” organizzato dal Parco Letterario “Federico II di Svevia” in collaborazione con l’amministrazione comunale melfitana. L’ultimo appuntamento sabato 27 gennaio alle 20,30, sempre al Teatro Ruggiero, con “Stupor”, un ritratto di Federico II per la regia di Gianpiero Francese.